Il ruolo dei sintomi psicologici
Palpitazioni, senso di pressione pettorale, cardiopalmo, extrasistole, fiato corto, formicolii, disturbi gastro-intestinali… Quando si vivono questi e altri sintomi psicosomatici, è inevitabile sentirsi sopraffatti e volerli eliminare, così da poter “tornare alla propria vita”. Allora dapprima ci si rivolge al medico, sperando che attraverso test e consulenze possa emergere una causa organica, meglio se facilmente risolvibile con un farmaco specifico. Poi però, al momento della consulenza, i risultati clinici non mostrano anomalie, il medico dice che si è sani come un pesce e che quindi il problema è di natura mentale. A questo punto il medico potrà indirizzare il paziente verso una visita psicologica, oppure (assai più spesso) verso una psichiatrica. Nel caso in cui il medico raccomandi lo psicologo, il consiglio ha spesso un sapore amaro, perché il mondo della psicologia è comunemente visto come qualcosa di intellettuale, astratto, inconsistente.
La prospettiva di una visita psichiatrica è solitamente accolta con più ottimismo, poiché alimenta la speranza di poter affrontare il sintomo con metodi convenzionalmente medici, dunque pratici e immediati.
“Ecco qui, i test indicano questo problema, dunque prenda questa pillola ogni giorno e i sintomi spariranno come un raffreddore”.
Questo è a grandi linee quanto si spera di sentire da un medico psichiatra, che effettivamente prescrive uno o più farmaci. Ma poi, con il passare del tempo, ci si rende conto che il farmaco ha forse avuto un effetto positivo sul breve termine, ma non certo risolutivo: il sintomo si ripresenta uguale o un poco differente, senza perdere la propria forza.
Non avendo altra scelta ci si fa coraggio, si parla con lo psicologo, e qui la sorpresa: i sintomi vengono riconosciuti e il paziente si sente capito. Allora, non di rado, si cade in errore: si presume che lo psicologo sia lo stratega che ci accompagnerà ad annientare il nemico: il sintomo.
Ma il sintomo non è il nemico.
Il sintomo psicologico è qualcosa di tormentoso, sì, ma con un ruolo; un ruolo simile a quello assolto dal dolore fisico: quando si mette la mano sul fuoco, il dolore ci indica che qualcosa non va. In questo caso è facile capire come il problema non sia il dolore, bensì il fuoco, o ancor meglio, l’aver messo la mano sul fuoco.
Il dolore, per quanto insopportabile e che giustamente si vuole ridurre e far sparire, ha tuttavia un ruolo segnaletico, espressivo, a cui sottende un problema di fondo (ne parlo anche qui). Allo stesso modo i sintomi psicologici (come i sopracitati sintomi ansiosi), ci comunicano la presenza di un problema nella nostra vita. Un esempio è l’agorafobia, che spesso è espressione, in parole povere, dell’angoscia di perdere la socialità di riferimento e quindi di “essere liberi”; oppure la claustrofobia, che tende ad essere sintomo di una rabbiosa paura di esclusione sociale a causa di un’indegnità percepita.
Lo psicologo può aiutare a comprendere tali segnali e ad affrontare il problema di cui sono l’espressione, con il fine ultimo, sì, di ridurre ed eliminare il sintomo, ma non prima di averlo capito.