Derealizzazione: la centralità del rifiuto

immagine sfocata di persone che attraversano le strisce pedonali

La derealizzazione e il rifiuto

Molti dei miei pazienti, parlandomi dei sintomi della derealizzazione, descrivono un senso di alterazione nelle attività del percepire e del pensare: la coscienza “osserva” la propria attività di osservare, e il mondo circostante appare dai colori stranamente accesi, oppure plumbei, smorti. Gli oggetti possono apparire stranamente lontani, o come se le distanze fossero coperte da una gelatina distorcente. Anche le luci possono risultare fastidiose, sia quella del sole che quelle artificiali (specialmente se fredde, come quelle al neon dei supermercati). Parlando del pensiero, il paziente può descrivere l’azione del pensare come se non riguardasse il suo Io, come fosse un’attività distante ed estranea. Similmente anche la propria voce può sembrare estranea, scissa da sé. Ed è proprio il fatto di essere consapevoli di tali “anomalie” senso-percettive e cognitive (l’esame di realtà è intatto) a rendere l’intera esperienza potenzialmente angosciante (egodistonia). Angoscia che spesso va esacerbandosi in fobia di impazzire, di perdere il controllo, o nella rivelazione fobica di essere già pazzo, o persino morto, e di non essersene mai accorto prima.

Queste paure, se mal gestite, accompagnano il paziente ansioso a ritenersi psicotico, o al principio di una psicosi. Tuttavia, tali sintomi non hanno niente a che vedere con la psicosi. Piuttosto, questi sintomi dissociativi si associano a quei processi mentali, infantili e adolescenziali, preposti alla formazione della percezione della realtà e del proprio collocamento in essa. Sono periodi in cui l’Io è alla ricerca della propria identità, ma ne scopre la precarietà, nonché la difficile trama di rapporti che la lega alle altre persone. Qualunque emozione (sia più profonda, viscerale, sia mentale, cioè sviluppata e integrata nel pensiero), quando viene percepita come pericolosa, ossia potenzialmente in conflitto con persone/contesti amati o con il senso comune, produce vergogna, senso di colpa, conflitti di significato, finanche la depressione.

La mente vigila costantemente sul rischio di questi conflitti emotivi, e sia la base biologica che quella psicologica possono attivare sistemi intesi a inibire tali “destabilizzazioni”. Quante volte i pazienti mi hanno descritto esordi sintomatici associati all’assunzione di sostanze, specialmente in contesti di gruppo, o all’avviarsi di conflitti intra-familiari o comportamenti trasgressivi. In queste circostanze la mente può sentire il bisogno di inibire se stessa, o per meglio dire una parte di se stessa: la parte di noi più “moralista”, più profondamente legata alla mentalità, ai valori e ai disvalori del sistema sociale interiorizzato, agirà per bloccare cariche emotive trasgressive, critiche, socialmente conflittuali, facendo ricorso anche ai sintomi.

Dunque, quando parliamo di derealizzazione, diventa centrale il tema del rifiuto. Il soggetto derealizzato avverte un’emozione di rifiuto (nei confronti di una persona specifica, o della propria famiglia, o del proprio contesto circostante), ma non può dare seguito ad essa, né mentalmente né tanto meno concretamente. Essa resta sommersa, deglutita come un rigurgito, “non pensata”. Anziché seguire tale processo emotivo rifiutante, che porterebbe a un’articolazione cognitiva (pensiero) prima, e un’assunzione di responsabilità morale di quel rifiuto poi, il soggetto resta sospeso a metà. La coscienza del derealizzato si concentra ossessivamente sull’estraniazione, senza ammettere che essa sia il risultato di un processo emotivo e ideativo atto a rifiutare una particolarità del mondo. L’estraniazione del soggetto è dunque esperita nei sensi, sintomaticamente, ma non nel suo significato, che resta lontano dalla coscienza.

 

Woman during a psychotherapy session

Psicoterapia della derealizzazione

I sintomi si sviluppano su due diversi livelli. Al primo livello consistono in sensazioni di irrealtà relative alla percezione della realtà circostante e del mondo (derealizzazione) e/o alla percezione del proprio Io mentale e corporeo (depersonalizzazione). Depersonalizzazione e derealizzazione hanno una matrice comune: il rapporto che l’Io ha con se stesso e con il mondo.

Il secondo livello consiste in tutta le forme d’ansia che i sintomi di primo livello possono consolidare nel soggetto. Come si è detto, paura di impazzire, di perdere il controllo, di essere pazzo, o morto, di psicosi e schizofrenia, ecc. Tutte paure dovute alla difficoltà di comprensione e dalla sensazione di alienazione dal senso comune prodotte dai sintomi primari.

Dunque è proprio l’ansia il primo bersaglio della terapia: il soggetto viene riportato dall’ansia secondaria ai gravi, ma non necessariamente angoscianti, sintomi primari. Solo a questo punto, grazie a un’indagine sul funzionamento della persona, sia in ottica storica che attuale, diventa possibile comprendere la natura personale dei sintomi e le circostanze interiori ed esteriori che li alimentano, per poi fornire al paziente gli strumenti per sostituirsi a quei sintomi (la cui funzione è quella di prevenire, in modo violento e impersonale,  drammatici errori emotivi e valoriali).

La graduale acquisizione di questi strumenti accompagna il paziente alla liberazione dai sintomi.