Derealizzazione e ottundimento affettivo
Non di rado le esperienze di derealizzazione sono accompagnate da diversi gradi di ottundimento dell’esperienza emotiva: i pazienti derealizzati fanno riferimento a un’incapacità più o meno grave di provare le emozioni. Ciò che spesso in questi pazienti risulta deficitario o assente è la sperimentazione soggettiva di quei contenuti emotivi che, normalmente, tingono l’attività mentale e la percezione del mondo circostante.
Un utente su su un forum online riporta:
“Mi guardo attorno e mi sembra tutto spento, come se ci fosse una luce sbagliata, e non sento niente…” Un altro utente descrive la propria condizione: “Ho come la sensazione di non provare vere emozioni, ed è come se provassi sentimenti ma non ne fossi del tutto cosciente. È come se non fossi lì, in quell’attimo, a sentire fino in fondo le emozioni di cui ho sempre goduto. Di conseguenza mi sento VUOTO nell’anima, e spesso, a loro volta, le persone mi sembrano vuote, semplicemente degli individui fatti di carne ed ossa. Ci sono dei momenti in cui mi sembra di essere totalmente apatico, momenti in cui le parole degli altri sembrano essere inutili suoni.”
Nel suo libro sulla derealizzazione, il dottor Nicola Ghezzani afferma che, per quanto sia tutto sommato possibile immaginare di vivere una vita senza uno dei cinque sensi, invece è impossibile pensare di poterla vivere con un’emotività distorta, se non del tutto assente. Normalmente le percezioni del mondo circostante vengono mediate da reazioni affettive preliminari che l’autore chiama “risposte emotive”: uno stimolo sensoriale emotivamente carico elicita una reazione affettiva prima di quella cognitiva. Se queste risposte emotive vengono meno, gli stimoli provenienti dalla realtà esterna sembrano “morti”, senza significato, enigmatici. Partendo da questa importante considerazione, l’autore formula l’ipotesi per cui, quando è in atto un’esperienza di derealizzazione (o depersonalizzazione), la mente scinda l’io interiore, con i suoi affetti e le sue risposte emotive sopite, e il mondo-corpo esteriore, che diventa quindi emotivamente sterile e privo di senso.
Nel suo libro sulla depersonalizzazione, Mauricio Sierra conferma questo assunto, affermando che nei pazienti con depersonalizzazione sia presente una grave compromissione nella capacità di investire di sentimenti emotivi gli oggetti percepiti e le situazioni concrete.
A tal riguardo, nel testo viene riportata una testimonianza interessante:
“[ascolto la musica] ma non avverto risposte in me […] di solito la musica mi commuove ma ora mi potrebbe sembrare benissimo qualcuno che affetta patate […] mi sembra di camminare in un mondo che riconosco ma non sento. Ho visto il Big Ben acceso la notte scorsa, una visione che solitamente mi commuove, ma per come mi sembrava avrebbe potuto essere una sveglia da tavolo […] io e mio marito siamo sempre stati felici insieme e ora siede qui accanto e potrebbe essere un estraneo qualunque. So che è mio marito solo dalle sue sembianze, per quello che provo per lui potrebbe essere chiunque.”
Sempre in riferimento all’ottundimento emotivo, che l’autore chiama anche “deaffettivizzazione”, Sierra afferma che i pazienti con depersonalizzazione dimostrano deficit importanti nello sperimentare empatia. A tal proposito, nel testo viene riportata un’ulteriore testimonianza:
“semplicemente non riesco a sentire nulla quando qualcun altro soffre o prova dolore. Al mio migliore amico fu diagnosticato un cancro qualche anno fa. Tutti gli dicevamo quanto fossimo addolorati ma io non riuscivo a sentire nulla e dovevo fare finta e dire le parole giusta […] e quando mia nonna è morta è stata la stessa cosa.”