I due bisogni universali
Nella mia esperienza clinica parto sempre da un assunto, cioè che tutte le persone siano accomunate da due bisogni, compresenti e fondamentali: il bisogno di appartenenza e il bisogno di individuazione. Il bisogno di appartenenza è la necessità di adattarsi funzionalmente agli ambienti di riferimento, e quindi di integrarsi nei contesti sociali, umani, legati a quegli ambienti. Il bisogno di individuazione, invece, è quello che spinge verso una differenziazione individuale dagli altri e una personalizzazione della propria vita.
Com’è facile intuire, la coesistenza di questi due bisogni non è mai semplice. Quando il loro fragile equilibrio viene meno e un solo bisogno si impone sull’altro, l’ansia scatta come un allarme, attivandosi in tutta la sua odiosa varietà sintomatica. Se a prevalere è il bisogno di appartenenza, vuol dire che ci si è adattati troppo passivamente alla volontà altrui (interiorizzata), sacrificando la propria libertà individuale. In parole povere ci sentiamo accolti dal contesto sociale, ma non riusciamo ad essere noi stessi. Se invece prevale il bisogno di individuazione, vuol dire che ci siamo separati con troppa forza dall’unità (perlomeno interiore) con qualcuno o qualcosa, e quindi sentiamo minacciato il nostro sentimento di appartenenza e sicurezza.
Di fronte a questi squilibri, il rimedio consiste nell’essere più decisamente se stessi, cioè vivere queste crisi in accordo al proprio sentimento morale, in autonomia di giudizio. Una risoluzione sana di queste crisi apre la strada a robusti slanci evolutivi.
In molte persone, tuttavia, il timore di mettere in discussione gli equilibri della propria identità psicosociale ostacola la risoluzione delle crisi. In questi casi l’ansia diventa tenace, ossessiva, si espande fino a coinvolgere tutto ciò che è anche solo vagamente attinente allo squilibrio tra i due bisogni. Tutto ciò che è “aperto” ci ricorda il nostro bisogno di autonomia, e quindi anche la paura di rimanere soli (ne parliamo qui); ciò che è “chiuso” ci ricorda la nostra paura di restare intrappolati, bloccati nella nostra necessità evolutiva. A questo punto l’ansia può strutturarsi, divenendo angoscia, e sfociare in attacchi di panico. Questo scenario è molto comune tra gli adolescenti e i giovani adulti. L’adolescenza, infatti, è spesso il momento in cui il bisogno di appartenenza familiare (il “porto sicuro” genitoriale) e quello di individuazione (affrancamento dalla famiglia e integrazione nel gruppo dei coetanei) raggiunge la massima tensione.
Il conflitto tra il bisogno di appartenenza e quello di individuazione è una realtà universale, ma profondamente interiore: divenirne consapevoli può essere difficile, specie se tra il soggetto e lo squilibrio si interpongono sintomi d’ansia. Per questo, nelle persone più sensibili e ansiose, può rendersi necessario l’intervento supportivo di un osservatore esterno, cioè di uno psicologo, capace di interpretare il conflitto interiore e di aiutare il soggetto a divenirne cosciente, e dunque a superarlo costruttivamente.