Derealizzazione e uso di sostanze
La scarsa conoscenza del disturbo derealizzante nel nostro paese (e non solo) porta chi pensa di esserne affetto a cercare chiarimenti e soluzioni online. È facile che il povero internauta, non trovando risposte esaustive sui siti italiani, provi ad addentrarsi in siti anglosassoni dove, puntualmente, emergono interpretazioni cliniche rigidamente psichiatriche. Conseguenza di ciò è che nella persona si fa strada la convinzione che i propri sintomi abbiano un’origine organica, medicalmente individuabile, e non psicologica. Tale travisamento diviene molto subdolo soprattutto quando, al momento della ricerca online, si specifica di aver assunto una sostanza psicotropa immediatamente prima dell’insorgenza dei sintomi. Nel caso di utilizzo di marijuana i siti americani fanno riferimento alla cosiddetta “cannabis-induced derealization” (derealizzazione indotta da cannabis), spesso ignorando ogni possibile interpretazione intrapsichica del fenomeno. Una convinzione a dir poco insidiosa.
Molti sono i pazienti che nel primo colloquio mi confessano di aver assunto marijuana o alcolici prima della comparsa dei sintomi. In loro è molto forte la certezza che il disturbo sia stato indotto direttamente dalla sostanza, ammettendo di essersi rivolti a me, psicologo clinico, come “ultima spiaggia”, dopo non aver avuto alcun riscontro dagli esami medici.
Ovviamente è chiaro che la sostanza abbia avuto un ruolo nell’insorgenza del sintomo, ma non certo causale! Prendiamo l’esempio degli alcolici. A tutti è capitato di assistere all’ubriacamento di un conoscente. Quando accade, non di rado si vede come l’intossicazione renda molto espansive ed emotive anche le persone solitamente più rigide e composte. In queste persone l’intossicazione non ha affatto generato i contenuti alla base delle manifestazioni emotive, ma si è semplicemente limitata a sbloccarli. In vino veritas, si dice. Ma questo cosa a che fare con la derealizzazione?
La derealizzazione deriva da conflitti personali irrisolti, soprattutto di natura socio-relazionale. La mancata risoluzione di questi conflitti deriva spesso da sentimenti di auto-costrizione e da un fortissimo senso del dovere, che impediscono di sentire tali conflitti e li relegano nelle profondità della psiche. L’intossicazione alcolica, così come quella da marijuana, forza l’apertura di quella “diga” preposta a dividere la coscienza da tali conflitti profondi; così i sentimenti di sofferenza e di collera, un tempo repressi perché giudicati pericolosi per la propria integrità psichica o identità sociale, improvvisamente vengono lasciati liberi di invadere la coscienza e di causare, subito dopo, una nuova reazione contenitiva ancora più violenta: il sintomo derealizzante, appunto. La sostanza non ha dunque “causato” nulla, ma semplicemente facilitato e accelerato un confronto con le proprie profondità che, in futuro, sarebbe stato comunque inevitabile.
La terapia individuale ha il ruolo innanzitutto di chiarire al paziente tale meccanismo e di scindere l’uso della sostanza dal presunto ruolo causale. Fatto ciò è possibile lavorare sullo spazio interiore e sui conflitti irrisolti alla base della sintomatologia, accompagnando il paziente a quello spazio interiore che, come spesso accade, troppo a lungo è stato fuggito.